La mia idea di ceramica

2019 in un minuto

Al lavoro

Il cavallo di Fidia

Nella stanza di “modellato” al Liceo Artistico il cavallo di Fidia era lì, con la sua testa di gesso mozzata. Lo scultore del Partenone ci ricordava la sua immensità in silenzio, in quello studio dall’odore di argilla e polvere di terra scolpita.

Mi ricordo le mani affogate nella vasca rettangolare in cui era conservata l’argilla fresca e la sensazione di pace nel cominciare a ricalcare i tratti dell’opera da riprodurre per rubarne i segreti.

Il bassorilievo ti obbliga ad aggiungere, nel calco preparatorio in argilla, in modo che poi il risultato sia la sottrazione dello sfondo. Il paradosso di svuotare la cornice inutile del contesto, aggiungendo forza al soggetto. E così farlo emergere dalla cornice che si piega alla terza dimensione. Bella fatica per un’adolescente: valorizzarsi uscendone vincitori è la battaglia che tutti sfida, molti eletrizza, alcuni sfianca. Io ero galvanizzata e felice.

E il cavallo di Fidia volevo che uscisse dal blocco di gesso, stampato dall’argilla, come un eroe che si ribella ad un destino piatto. Volevo carpire il suo respiro, farlo uscire dal quadro bianco. Volevo che mostrasse i denti alla vita per sfidarla, sorridente e forte.

Volevo uno specchio di me :-)

L'uomo che guarda oltre

Ho sempre pensato che rappresentare la realtà per come la vedo non potesse rendere unica la mia arte. Lo sguardo di un uomo può forse essere qualcosa in più di un pezzo di vita “normale”? Coma fa a considerarsi unica la sua rappresentazione?

Ho realizzato questo ritratto diversi anni fa, non sapevo ancora che avrei voluto farne la ragione di una nuova idea di vita: è passato tanto tempo, un fiume di tempo, ma ancora non so rispondere definitivamente a questa domanda.

Anche se qualcosa sta cambiando nella mia percezione. Infatti, rivedendo quello sguardo adesso, anche con gli occhi degli altri e di una me stessa più accondiscendente, ora arrivo a dirmi: ma sì, è vero, forse c’è qualcosa.

Quello sguardo immobile, intagliato da me nella terra che ora lo intrappola, forse prova a dire qualcosa, mio malgrado, credo. Addirittura adesso mi sembra che possa rivivere, che sia la rappresentazione di qualcosa di più completo, ampio, forse incomprensibile.

E capisco che forse ha la capacità di esprimere qualcosa di speciale, qualcosa a che vedere con uno smarrimento rassegnato ma forte, uno sconcerto abbandonato ad una composta comprensione del nulla. L’idea dell’essere umano tutto e della sua meravigliosa condanna a cercare, con l’unica immensa forza del dubbio a sorreggere la ragione. Per trovare un po’ di senso ultimo nella vita, forse.

Insomma: quasi quasi ci credo anch'io che quello sguardo, inciso tanti anni da me su questa creta, alla fine sia davvero capace di parlare. Speriamo anche a voi!

Indefinito

Un modello stava seduto davanti a noi. La tensione dei suoi muscoli, le pieghe segnate dalle ossa, i tratti ricercati con mosse leggere sulla terra umida: l’impossibilità di comprendere tutto in un solo sguardo. Mi accorgo ora che sono passati 22 anni da quel momento, io studente d’arte, il tempo che passa per imparare a descrivere la vita con le forme e nutrirsi di bello e tanto futuro ipotetico davanti a me, poco più che bambina. 

La mia testa una ciotola di terra da forgiare, con ingredienti semplici e distinti: le forme classiche delle sculture antiche, l’idea di imparare, la realtà come specchio unico per la rappresentazione. 

Ora vedo me in queste braccia mozzate; vedo me nella testa perduta altrove, forse a recitare il futuro degli altri. E vedo ancora me adesso, che le mie mani le guardo e le benedico, un premio perché così ribelli e capaci di tracciare linee sulla sabbia che si secca.

L’incompletezza è la base da cui partono i sogni. Senza la mancanza non cercheremmo niente, saremmo condannati a restare immobili nella nostra ipotesi di felicità confezionata. 

Ora guardo questo busto incompleto, sembra, ma è volutamente monco, necessariamente senza mezzi di espressione che non siano la sua non-realizzaione e mi dico che è il messaggio più forte che io abbia mai lanciato a me stessa, nella bottiglia ideale dei miei vent'anni: cerca nel non realizzato la chiave per dipingerti l’anima di futuro.

E questo rimarrà per me un simbolo senza prezzo di ciò che intendo per provare ad essere. Chissà se se riesce a dire lo stesso anche a voi...

Sguardi oltre

Occhi attoniti, increduli, spalancati. Lo sguardo della terra ferita e dei deboli dimenticati. Occhi che fotografano la banalità del male. Occhi che ci osservano sbagliare. In ogni passo normale di vita che pensa e sogna. Gli occhi rimangono sbarrati di fronte alle follie umane, che discriminano, allontanano, creano muri. La disperazione dei deboli, l’urlo silenzioso della terra martoriata, il sapere calpestato dall’ignoranza e dalla competizione sul nulla: la reazione dell’anima umana è la parola inghiottita, la lacrima catturata dai pensieri e l’occhio immobile a giudicare il male e ad aspettare. Che la luce illumini la primavera.

Le Ruote del Tempo

Uno scheletro bianco di corallo, comprato ad un mercatino in Madagascar, segna tracce di mare sull’argilla grigia.
Le impronte delle foglie che decorano alcuni portoni di Venezia si mescolano a questi passi di mare lontano. E insieme le impronte di ricami antichi veneziani, a domare il colore acceso della terra che risplende: mi piace miscelare le forme e le suggestioni, come se fossero piedi di spirito ancestrale a calpestare un palmo di sabbia appena liscio di acqua salata.
L’azzurro con cui proseguo mi sembra un vestito normale per queste ondate di oceano antico, e così ricopro ciò che ho segnato, con il suo smalto fresco, che lascia solchi grigi nel suo passare e il resto fa rivivere.
Dopo il forno la cristallina battezza la luce definitiva delle sue rughe splendide, colate di gocce di rugiada concentrica, il rito di un girotondo di segni colorati, imperfetti e felici.

 

Io osservavo i movimenti abili delle sue mani, mentre mia madre vigilava che fossero i pezzi migliori a caderci dentro.

Ricordo questi gesti semplici come qualcosa di unico, capace di rendere vero il significato del tempo e delle generazioni.

Così immagino anche il lavoro preciso, infinito e certosino, che ha mosso le mani delle creatrici di merletti veneziani: una tela di immaginazione precisa, ritualità senza compromessi e azioni inderogabili. E provo ad associarne le impronte, nell’argilla fresca, che si fa convincere anche dai paragoni più azzardati.

Il risultato è questa mia simbolica macchina del tempo, vestita dalle forme quotidiane e concrete di un vaso, ma che ha perso rigidità e definizione. Un lampo di immaginazione che salta dall’oggi all’ieri, senza paura e senza dubbi di essere inopportuno.

Il salto che l’anima può fare, accarezzata questa visione, è un attimo di libertà dal tempo, nella percezione di un infinito che si rende quotidiano.